Il sovraindebitamento nel codice della crisi e dell’insolvenza

Scarica il documento PDF

Pier Giorgio Cecchini[1]

 

Il Sovraindebitamento nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza

 

 

1         Premessa. 3

2         Presupposti: cosa cambia. 4

2.1      I soggetti 4

2.2      Rapporti tra le procedure. 9

3         Misure protettive. 10

3.1      Misure protettive nel Piano e Concordato. 11

3.2      Misure protettive nella Liquidazione. 12

3.3      Domanda “in bianco” e inefficacia delle ipoteche giudiziali 14

4         Sorte dei contratti 15

4.1      Cessione del quinto nel Piano. 15

4.2      Contratti pendenti e finanziamenti nel Concordato. 16

4.3      Cessione parziale dei beni 18

4.4      Moratoria dei crediti privilegiati 19

5         Altre questioni procedurali 21

5.1      Competenze dell’OCC.. 21

5.2      Realizzo e ripartizione dell’attivo. 23

5.3      Meritevolezza, falcidiabilità dei tributi, procedure collegate. 25

5.4      Miscellanee. 27

6         Esdebitazione. 27

6.1      Esdebitazione nel Piano e Concordato minore. 27

6.2      Esdebitazione nella Liquidazione controllata. 28

6.3      Esdebitazione del debitore incapiente. 32

6.4      Terzi garanti 33

 

 

 

1       Premessa

La bozza di decreto delegato denominato Codice della crisi e dell’insolvenza, elaborata dalla Commissione per l’attuazione della riforma, prevede significativi cambiamenti nella disciplina del sovraindebitamento, attualmente regolamentato dalla L. 3/2012[2].

Il Codice porta in primo luogo un’innovazione terminologica; infatti gli istituti sono così rinominati:

  • il Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (da artt. 72 a 78) sostituisce il piano del consumatore (da art. 12-bis a 14-bis 3/2012);
  • il Concordato minore (da artt. 79 a 88) sostituisce l’accordo di composizione della crisi (da art. 10 a 12 L. 3/2012);
  • la Liquidazione controllata del sovraindebitato (da art. 273 a 281) sostituisce la liquidazione dei beni (da art. 14-ter a 14-terdecies 3/2012).

Il Codice introduce di fatto anche un quarto mini-procedimento per il debitore meritevole ma incapiente; la bozza di relazione al Codice lo definisce “piano del consumatore vuoto”, in quanto non è soggetto a votazione dei creditori bensì soltanto a vaglio del giudice e consente ai soggetti sovraindebitati nullatenenti di esdebitarsi pur non essendo in grado di offrire alcunché ai creditori.

Per accedere alla disciplina del sovraindebitamento il debitore deve trovarsi in situazione di crisi o di insolvenza, le quali sono descritte nell’art. 2 del Codice.

La crisi è lo stato di difficoltà che rende probabile l’insolvenza, dato da una inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici per onorare regolarmente i pagamenti pianificati. L’art. 16 c. 1 in tema di strumenti di allerta precisa ulteriormente che l’inadeguatezza va rapportata ai fabbisogni finanziari dei successivi sei mesi.

L’insolvenza, invece, è lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Di seguito vengono i punti salienti della riforma; in caso di dubbi interpretativi verrà limitato per quanto possibile il ricorso all’analogia[3].

 

 

2       Presupposti: cosa cambia

 

2.1       I soggetti

Numerosi sono le novità riguardanti i presupposi soggettivi, che vengono di seguito illustrate.

 

Socio illimitatamente responsabile

L’art. 6 l. sovr. limita l’accesso agli istituti del sovraindebitamento alle situazioni che “non sono soggette né assoggettabili a procedure concorsuali”.

Disposizione che, secondo taluni tribunali, impedisce a qualunque debitore, consumatore e non, di accedere ad una qualsiasi delle procedure di sovraindebitamento in pendenza del rapporto societario e fino all’anno successivo alla pubblicizzazione della cessazione della sua responsabilità illimitata[4]. Ciò a prescindere dall’essere la società partecipata in bonis o meno, poiché comunque ciò che rileva è che il socio sia astrattamente assoggettabile, e non necessariamente già soggetto, a procedura concorsuale.

La formula dell’art. 6 non viene riproposta nel Codice. Non solo; vi si precisa che è consumatore (deve trattarsi, beninteso, di persona fisica non imprenditore né professionista) anche colui che sia socio illimitatamente responsabile di società, a condizione che il suo sovraindebitamento riguardi esclusivamente i debiti estranei a quelli sociali (art. 2, n. 5).

Pertanto, la riforma consente al socio: a) di società in nome collettivo, b) accomandatario di società in accomandita semplice e per azioni e c) accomandante ingeritosi nell’amministrazione ex art. 2320 c.c., di accedere liberamente alle diverse procedure di sovraindebitamento, purché non vi sia pregiudizio per i creditori sociali (così si esprime la relazione al Codice); pregiudizio consistente nel destinare il patrimonio del socio al soddisfacimento dei soli creditori personali in danno di quelli sociali.

Ma cosa succede qualora, una volta omologati Piano o Concordato minore, oppure aperta la Liquidazione, facciano irruzione nel patrimonio di un soggetto, già sovraindebitato a causa di debiti estranei a quelli sociali, le pretese di creditori sociali? Tanto potrebbe accadere per la sopravvenuta dichiarazione di liquidazione giudiziale della società, che si estende ai soci ex art. 261 del Codice (l’attuale art. 147 l. fall.) oppure per avere il creditore della società aggredito il patrimonio personale dopo aver infruttuosamente escusso quello sociale ex art. 2304 o 2318 c.c..

Quanto al primo caso, l’attuale disciplina prevede all’art. 12 c. 5 l. sovr.  che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo di ristrutturazione, e ciò è evidentemente propedeutico a far confluire nel fallimento tutto il suo patrimonio.

Il Codice invece non si pronuncia sulla prevalenza dell’una o dell’altra disciplina – sovraindebitamento o liquidazione giudiziale – in capo al socio-debitore, nonostante le attese[5].

Essendo tuttavia inverosimile che, in caso di liquidazione giudiziale per estensione del socio già sovraindebitato, possano coesistere sull’unico suo patrimonio due procedure e due masse attive e passive distinte, la procedura di sovraindebitamento precedentemente aperta dovrebbe necessariamente cedere il passo alla Liquidazione giudiziale sopravvenuta, che è strutturalmente concepita per gestire in modo unitario l’indebitamente sociale e personale sul socio.

Dovrebbero invece essere compatibili la procedura di concordato preventivo della società, purché già omologato, e la procedura di sovraindebitamento del socio, in quanto la classe dei creditori sociali è destinata ad essere soddisfatta non nell’ambito della procedura di sovraindebitamento, ma direttamente in quella concordataria[6].

Più arduo è individuare una soluzione nel caso di pretese di singoli creditori sociali sul patrimonio del socio; è probabile che iniziative individuali sopravvenute non pregiudichino la procedura di sovraindebitamento ma che, anzi, siano da essa assorbite, per essere trattate alla stregua di un debito sopravvenuto nel Piano e nel Concordato minore[7] e di una domanda tardiva di credito nella Liquidazione giudiziale.

A tale ultimo proposito, nel Codice continua a mancare una disciplina delle domande tardive nella Liquidazione giudiziale, ma non risulta neppure la perentorietà del termine (di sessanta giorni prorogabili di altri trenta) concesso ai creditori entro il quale far pervenire la propria domanda di ammissione al passivo. Quindi si ritiene in dottrina che l’insinuazione possa avvenire anche dopo tale termine, pur con il rischio di incapienza dovuto ad eventuali riparti già effettuati[8].

 

Imprenditore minore o professionista cessati

Il Codice chiarisce che non può considerarsi consumatore la persona fisica che “non abbia cessato di svolgere un’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale in precedenza esercitata” (art. 2, n. 5)[9].

Quindi, ragionando a contrario, l’esistenza di debiti derivanti da una pregressa attività lucrativa svolta in passato ma già cessata non dovrebbe più pregiudicare l’accesso al Piano.

Attualmente, invece, la giurisprudenza ritiene che l’esistenza di debiti pregressi di natura imprenditoriale o professionale (diversi da quelli erariali) impedisca l’accesso al piano del consumatore[10].

 

Fideiussore

Il Codice risolve il dubbio sulla procedura alla quale può accedere il fideiussore, accogliendo la teoria dell’imprenditore o professionista “di riflesso”. L’art. 70 precisa infatti che il garante sovraindebitato accede al Concordato minore qualora la fideiussione sia stata data ad un imprenditore o ad un professionista, mentre viceversa opta per Piano quando abbia prestato garanzia a favore di un consumatore.

Per identificare l’istituto di regolazione della crisi cui il fideiussore può accedere, parrebbe irrilevante, con la nuova disciplina, che egli abbia o meno collegamenti funzionali con la società garantita, quali l’amministrazione o una partecipazione non trascurabile al capitale sociale, o che abbia agito per scopi di natura privata o meno[11].

È disciplina concorsuale comune, anche della riforma, che il beneficio dell’esdebitazione non si estenda ai fideiussori, coobbligati e obbligati in via di regresso. Non così nel Concordato minore, quando riguardi un soggetto i cui debiti siano stati garantiti da un terzo: prevede infatti l’art. 84 c. 4 che il Concordato minore omologato non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso “salvo che sia diversamente previsto”.

Dove debba esserlo, lo precisa la relazione al Codice: nella proposta.

Ciò significa che il debitore in Concordato minore può, nella proposta, limitare la garanzia data dal terzo garante, con effetto verso il terzo garantito, pur essendo il primo estraneo al rapporto di garanzia instaurato tra questi ultimi (al punto che il debitore potrebbe non essere neppure al corrente della sua esistenza).

La questione sarà oggetto di approfondimento nel cap. 6.4.

 

Quando si può accedere al Concordato minore

Il Codice precisa all’art. 79, c. 1 e 2 che l’imprenditore minore e il professionista possono accedere al Concordato minore in due casi:

  • qualora il concordato preveda la prosecuzione dell’attività;
  • in caso di cessazione dell’attività, purché sia previsto l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile il soddisfacimento dei creditori (probabilmente almeno del 10%[12]).

Se non si realizza una delle due condizioni i medesimi soggetti devono optare per lo strumento della Liquidazione controllata, non essendogli accessibile il Piano.

 

Definizione di impresa minore

Il Codice offre una definizione positiva dell’impresa sotto-soglia (“impresa minore”) che può accedere alla disciplina del sovraindebitamento, adottando gli stessi limiti di attivo patrimoniale, ricavi lordi e debiti previste nella attuale legge fallimentare (art. 2 n. 4).

Ai fini della verifica del superamento della soglia di esclusione, non vi è motivo di disconoscere l’attuale giurisprudenza; in particolare, quanto ai debiti, devono essere ricompresi nel calcolo anche quelli contratti per scopi estranei all’attività imprenditoriale[13].

Il superamento delle soglie di esclusione costituisce motivo:

  • di inammissibilità rilevabile già in sede di apertura del procedimento[14];
  • di trasmissione degli atti in procura ai fini di un’eventuale apertura della liquidazione giudiziale per insolvenza (art. 42 lett. b).

 

Impresa agricola

Il Codice riserva alle imprese agricole gli stessi strumenti per la risoluzione della crisi previsti per le imprese commerciali.

La riforma abbatte così un privilegio, quello della non fallibilità dell’impresa agricola, che è apparso nel tempo sempre più ingiustificabile, anche alla luce della possibilità introdotta nel 2002 di qualificare come agricola “per connessione” l’attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli; attività, questa, che presenta connotati marcatamente commerciali.

Tanto si desume dalla circostanza che il Codice disciplina la crisi o insolvenza di qualunque imprenditore (art. 1 del Codice), quindi anche dell’imprenditore agricolo, anziché del solo imprenditore commerciale, come è invece previsto nella legge fallimentare (art. 1 l. fall.), e che la riforma prevede la soppressione dell’art. 2221 c.c.; norma la quale limita il fallimento al solo imprenditore commerciale.

Pertanto:

  • l’impresa agricola sopra soglia può accedere esclusivamente alle procedure maggiori, al pari dell’impresa commerciale;
  • l’impresa agricola minore può invece accedere esclusivamente al Concordato Minore e alla Liquidazione Controllata, essendole precluso il Piano in quanto non consumatore.

Invece l’attuale art. 7 c. 2-bis l. sovr. consente all’impresa agricola di accedere all’accordo di composizione della crisi, senza distinguere se sopra o sotto soglia, posto che comunque l’impresa agricola non può fallire[15].

In caso di Concordato minore è richiesto all’imprenditore il deposito delle scritture contabili, pena l’inammissibilità della domanda (artt. 80 c. 2 lett. a. e 82); le imprese agricole in forma di società semplice, che non sono obbligate alla tenuta delle scritture contabili, dovranno comunque depositare una documentazione che consenta la ricostruzione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria[16].

 

Enti pubblici

L’art. 1 esclude dal campo di applicazione del Codice gli enti qualificati pubblici dalla legge. Nel vigore della L. 3/2012 la questione aveva generato controversie[17]. Vengono invece ricomprese le società a partecipazione pubblica[18].

 

2.2       Rapporti tra le procedure

Mentre attualmente i consumatori possono accedere a tutte e tre le discipline del sovraindebitamento, in futuro potranno optare esclusivamente per il Piano e la Liquidazione controllata ma non per il concordato minore (art. 79 c. 1).

I soggetti diversi dai consumatori (professionisti, l’imprenditori minori ed ogni altro debitore non soggetto a liquidazione giudiziale) potranno invece accedere al Concordato minore e alla Liquidazione controllata ma non al Piano (art. 72 c. 1).

Nulla cambia nella nuova disciplina del Piano e Concordato minore quanto al soggetto legittimato a presentare la relativa domanda, che è e rimane il debitore

Per converso nella Liquidazione controllata possono presentare la domanda, con portata innovativa rispetto alla disciplina attuale, non soltanto il debitore[19] (art. 278 c. 2) ma anche:

  • il creditore, in caso di pendenza di una procedura esecutiva individuale;
  • il pubblico ministero, in caso di pendenza di una procedura esecutiva individuale riguardante un imprenditore insolvente.

Tuttavia, se a chiedere la Liquidazione sia un soggetto diverso dal debitore, essa è dichiarata improcedibile quando già pendono un Piano o Concordato minore (art. 275 c. 1) oppure quando il debitore chiede di accedervi (art. 276 c. 1 e 2). Dunque, entrambe le ipotesi paralizzano, di fatto, l’iniziativa di creditori e PM.

La nuova disciplina intende così agevolare l’adozione da parte di terzi di una misura che componga il sovraindebitamento celermente, lasciando comunque al debitore la facoltà di virare verso soluzioni meno traumatiche rispetto alla Liquidazione controllata.

In caso di revoca o risoluzione di un precedente Piano o Concordato minore, sono legittimati a chiederne la conversione in Liquidazione controllata il debitore, i creditori e, nella nuova disciplina, anche il PM; tuttavia creditori e PM possono proporre istanza soltanto quando la revoca o la risoluzione derivino da atti di frode o inadempimento (artt. 78 c. 1 e 2; art. 88 c. 1 e 2).

A differenza dell’attuale disciplina, nel Codice la conversione di un Piano o Concordato minore in Liquidazione controllata non può più essere dichiarata d’ufficio[20].

Pertanto, qualora la valutazione richiesta all’OCC sulla convenienza della procedura rispetto all’alternativa liquidatoria porti ad un giudizio negativo, non potrà discenderne una conversione d’ufficio del Concordato minore in Liquidazione controllata[21]. Né esso (il Concordato) potrà essere dichiarato inammissibile, stante la tipicità delle ipotesi previste dall’art. 82. La valutazione di convenienza costituirà, dunque, soltanto un elemento del set informativo a disposizione dei creditori per esprimere il voto consapevolmente.

 

 

3       Misure protettive

Il Codice prevede le seguenti misure protettive:

  1. inammissibilità di azioni esecutive o cautelari individuali;
  2. sospensione dei processi esecutivi o cautelari pendenti;
  3. divieto per i creditori di acquisire titoli di prelazione non concordati (le ipotesi da 1 a 3 sono ricomprese nell’art. 2, n. 16);
  4. inefficacia nei confronti dei creditori anteriori delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 gg (art. 50 c. 4);
  5. nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio o altri provvedimenti cautelari (art. 58 c. 2) adatti alle circostanze in vista della successiva procedura;
  6. misure necessarie per portare a termine le trattative in corso volte al raggiungimento di un accordo stragiudiziale con i creditori in caso di procedimento di composizione assistita della crisi (art. 23)

Vediamo in che misura esse si applicano variamente alle diverse procedure

 

3.1       Misure protettive nel Piano e Concordato

Il Codice prevede all’art. 69 c. 4 che la proposizione della domanda di Piano o Concordato minore sospende automaticamente i procedimenti esecutivi.

Sebbene collocata in una parte comune anche alla Liquidazione controllata, per il tenore letterale la norma non pare riferibile a quest’ultima procedura.

La formula adottata dal Codice è laconica; si cita solo la sospensione dei procedimenti esecutivi ma non anche di quelli cautelari, non si preclude l’inizio di nuove azioni esecutive o cautelari né si citano altre misure protettive.

A parere di chi scrive sarebbe opportuno integrare la previsione con un richiamo a tutte le misure protettive elencate nell’art. 2, n. 16 (punti da 1 a 3 del precedente elenco), sancendo esplicitamente l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti ed estendendo tale inefficacia anche ai debitori diversi dalle imprese (punto 4 del precedente elenco; si veda anche il successivo cap. 3.3).

Viene comunque colmata, almeno in parte, la lacuna esistente nella L. 3/2012, la quale assicura la protezione soltanto a decorrere dal successivo decreto di apertura della procedura, confinando oltretutto la sospensione, nel piano del consumatore, ai soli procedimenti individuati in base a specifica e motivata istanza dal debitore, e non invece a tutti i procedimenti esistenti.

Nel Codice si assiste ad una triplicazione di norme, perché il divieto di azioni esecutive, oltre che nell’art. 69 c. 4, è contenuto anche negli artt. 75 c. 3, primo periodo e 83 c. 2 lett. d., primo periodo, ed in queste ultime due ipotesi è condizionato ad un apposito provvedimento del giudice.

È davvero arduo individuare un’interpretazione produttiva di effetti che consenta di conservare tali norme (salvo attribuire al giudice il potere di confermare le misure e adottarne altre, come indicato nella relazione al Codice), ed è auspicabile che esse siano eliminate in sede di stesura finale dell’articolato.

Per l’art. 83 c. 2 lett. d., secondo periodo, “la sospensione (dei procedimenti esecutivi) non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili”.

Questa disposizione, già contenuta nell’attuale art. 10 c. 2 lett. c. l. sovr., mette a repentaglio il risanamento degli imprenditori e dei professionisti che accedano al Concordato minore in continuità in presenza di crediti vantati da lavoratori, atteso che tali crediti sono impignorabili per i quattro quinti (o almeno la metà)[22].

Per agevolare la composizione delle crisi, sarebbe opportuno rendere operante la sospensione dei procedimenti esecutivi anche nei confronti dei lavoratori; ciò è già consentito nel concordato preventivo, e non pare contrastare con i principi dell’ordinamento europeo, stante l’esistenza del fondo di garanzia INPS[23].

Si potrebbe escludere l’operatività della sospensione unicamente per i crediti alimentari, sulla base di motivazioni di natura sociale.

La norma non è riproposta nel Piano, ove la tematica ha portata più limitata, potendosi al più porre il problema in caso di assunzione di colf, badanti e altro personale di servizio.

Nel Piano il giudice può disporre ulteriori misure protettive analoghe a quelle previste nel concordato preventivo (quali quelle dei punti 5 e 6 del precedente elenco; cfr. art. 75 c. 3 secondo periodo); sempre nel Piano le misure protettive possono essere revocate in caso di atti in frode, su istanza dei creditori o anche d’ufficio (art. 75 c. 4).

Nulla è disposto circa le ulteriori misure protettive e la loro revoca nel Concordato minore, ove tuttavia è possibile fare ricorso alle  norme in materia di concordato preventivo.

Infine, qualora l’interruzione della procedura esecutiva individuale intervenga dopo l’aggiudicazione ma prima del trasferimento della proprietà del bene, si ritiene applicabile la disciplina dell’art. 187-bis disp. att. cod. proc. civ. [24], secondo il quale in caso di estinzione del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari gli effetti di tale atto. Se ne deduce che non può essere omologabile una procedura che fondi il soddisfacimento dei creditori sul possesso di un immobile, oggetto di una procedura esecutiva, il cui provvedimento di aggiudicazione sia intervenuto prima della proposizione della domanda di Piano o Concordato minore.

 

3.2       Misure protettive nella Liquidazione

L’attuale art. 14-quinquies della L. 3/2012 prevede il potere del giudice di disporre il divieto di azioni cautelari e esecutive nella procedura di liquidazione dei beni.

Nessuna disciplina in tal senso è contenuta invece nel Codice nell’ambito della Liquidazione controllata.

Quand’anche il legislatore non intenda porre rimedio a questa lacuna[25], vi è tuttavia motivo di ritenere che già nella versione attuale del Codice esista un divieto implicito da parte dei creditori di aggredire il patrimonio del sovraindebitato. Infatti il decreto di apertura della Liquidazione deve essere trascritto nei registri immobiliari e mobiliari (art. 275 c. 2 lett. g), e ciò, verosimilmente, al fine di sottrarre i beni all’esecuzione individuale e vincolarli alla comune destinazione concorsuale[26].

Ragionare al contrario significherebbe destituire di qualunque utilità la nuova disciplina della Liquidazione controllata, e tanto viene riconosciuto anche dalla relazione al Codice, per il quale “senza sospensione dei procedimenti esecutivi nessun piano potrebbe avere concreta esecuzione, come ha dimostrato la pratica”.

Da quale momento vigono le misure protettive, in questo caso? Dal momento della proposizione della domanda (anche “in bianco”; vedi capitoli successivi), si sarebbe indotti a ritenere; e ciò perché così dispone l’art. 69 c. 4 in caso di Piano o Concordato, e considerato altresì che solo introducendo un automatic stay precoce può dirsi rispettato il dettato della L. 155/2017, il quale demanda al Codice il compito, nel riscrivere la disciplina del sovraindebitamento, di “introdurre misure protettive simili a quelle previste nel concordato preventivo”.

La Liquidazione controllata non replica la disposizione che, nel caso di Concordato minore, esenta i titolari di crediti impignorabili dalla sospensione dei procedimenti esecutivi (83 c. 2); d’altronde lo spossessamento attenuato del debitore operato nella Liquidazione ( art. 273 c. 3 e 275 lett. e) rappresenta un’adeguata tutela a favore dei creditori superprivilegiati.

Considerato che l’istituto della Liquidazione controllata non è una misura premiale per il debitore bensì uno strumento di tutela dei creditori (cap. 5.3), pare logico ritenere che qui le misure protettive non siano e non debbano essere revocabili per frode, come invece è nel Piano (art. 75 c. 4).

In caso di Liquidazione, il divieto di azioni esecutive non vige soltanto nei confronti dei creditori per causa o titolo anteriore alla proposizione della domanda, ma anche per quelli sorti successivamente; tanto risulta, in questo caso esplicitamente, dall’art. 281 c. 1[27].

La circostanza che il medesimo divieto di azioni esecutive nei confronti dei creditori “posteriori” sia previsto nella liquidazione e non anche nel Piano e nel Concordato è verosimilmente frutto di una scelta deliberata della commissione, considerato che la Liquidazione offre maggiori garanzie di tutela per tutti i creditori, sia ante che post domanda, rispetto agli altri istituti.

In ogni caso ai creditori per titolo o causa posteriore alla proposizione della domanda spetta la prededuzione in tutte le procedure[28].

 

3.3       Domanda “in bianco” e inefficacia delle ipoteche giudiziali

L’art. 69 c. 2, che è disposizione comune alle tre discipline del sovraindebitamento, nel richiamare le norme contenute nel Titolo III, in quanto compatibili, richiama anche l’art. 58 c. 2, il quale prevede, in tema di procedimento unitario per l’accesso alle procedure della crisi o insolvenza, che “su richiesta del debitore […] il tribunale può disporre anche il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e dell’impresa, indicandone la durata. Entro il medesimo termine i creditori non possono acquisire titoli di prelazione se non concordati”.

Poiché la norma si riferisce al “debitore” (oltre che all’impresa), pare confermato che il sovraindebitato possa chiedere al tribunale un termine per il deposito di una proposta ai creditori usufruendo allo stesso tempo dell’automatic stay.  Occorrerà dunque distinguere, anche in materia di sovraindebitamento, tra domanda “prenotativa” e domanda “definitiva”.

L’art. 50 c. 4, anch’esso richiamato dall’art. 69 c. 2 e quindi applicabile alle procedure di sovraindebitamento, sancisce l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni antecedenti alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso al procedimento unitario[29].

In questo caso tuttavia il riferimento è alle sole imprese e non anche al “debitore”, ma non si ravvedono motivi per giustificare una disparità di trattamento tra soggetti sovraindebitati a diverso titolo.

Comunque, al fine di evitare interpretazioni analogiche non autorizzate, sarebbe opportuno che in sede di stesura dell’articolato finale la disposizione sull’inefficacia delle ipoteche giudiziali fosse estesa anche ai consumatori e ai professionisti e prevedesse esplicitamente che il termine di 90 giorni si applichi non soltanto alla domanda definitiva ma anche a quella prenotativa.

 

 

4       Sorte dei contratti

 

4.1       Cessione del quinto nel Piano

Il consumatore sovraindebitato può chiedere nel Piano che siano oggetto di ristrutturazione (“sistemazione”) anche i finanziamenti garantiti dal quinto dello stipendio, del TFR o della pensione, oppure garantiti da pegno (art. 72 c. 3).

Viene così superato l’indirizzo restrittivo di parte della giurisprudenza secondo la quale, una volta intervenuta la cessione del quinto e dei crediti futuri in generale, le rate maturate successivamente fuoriescono definitivamente dal patrimonio del debitore[30] o comunque per almeno tre anni[31].

Pertanto, secondo il Codice, diventano acquisibili all’attivo della procedura i quinti futuri di stipendio, TFR o pensione (anche se in giurisprudenza e dottrina, precorrendo i tempi della riforma, si sono affermate posizioni in tal senso già nel vigore della L. 3/2012[32]). Invece il correlato debito per finanziamento entra nel passivo col rango chirografario; infatti la “cessione” del quinto rappresenta un mandato all’incasso a scopo di garanzia, non un titolo di prelazione che possa essere fatto valere dal creditore[33].

Le medesime conseguenze dovrebbero determinarsi per il pignoramento presso terzi di stipendi e assegni previdenziali[34], nonché in caso di delegazione di pagamento[35].

Quanto al momento dal quale far decorrere l’incameramento, l’art. 72 prevede che tali contratti si sciolgono di diritto all’omologazione del Piano, e quindi questa è la data che funge da discrimine.

Si tratta dunque di uno scioglimento che opera automaticamente, purché sia previsto nella domanda, e che non prevede alcuna istruttoria né contraddittorio con il finanziatore (a differenza di quanto previsto per i contratti pendenti, art. 102).

Lo scioglimento opera anche per i finanziamenti garantiti da pegno; però, in questo caso, la natura privilegiata del credito non viene meno, e dunque esso dovrà essere soddisfatto per l’intero, una volta ceduto il bene cui inerisce, salvo falcidia ex art. 72 c. 4.

Quindi il risultato pratico dello scioglimento del prestito garantito da pegno è unicamente di interrompere la debenza delle rate; debenza che non può essere altrimenti arrestata, posto che nessuna norma del Codice dispone che nel Piano i crediti si considerino scaduti agli effetti del concorso alla data di apertura della procedura[36], come invece avviene nel Concordato minore[37] e, verosimilmente, nella Liquidazione controllata[38]. Ciò consente la liberazione nell’immediato di flussi finanziari, fermo restando che non si determina un incremento delle risorse a favore dei creditori.

La norma non disciplina, invece, i finanziamenti garantiti da ipoteca, sicché vi è motivo di ritenere che tali contratti proseguano senza interruzione fino alla cessione del bene[39].

La dottrina sopra richiamata (nota 34) ritiene che la medesima disciplina fin qui illustrata con riguardo al Piano dovrebbe essere applicabile anche al Concordato Minore e alla Liquidazione Controllata.

Sarebbe effettivamente vantaggioso avvalersi delle disposizioni sui finanziamenti garantiti dal quinto dello stipendio nel Concordato minore, considerato che la cessione di crediti futuri non costituisce contratto pendente[40] e che quindi esso non può essere sospeso o sciolto con le apposite regole previste per tale procedura (cap. 4.2).

Per converso una applicazione analogica della disciplina dei prestiti su pegno nel Concordato minore sarebbe contraddittoria, considerata l’esistenza della normativa speciale sullo scioglimento dei finanziamenti con garanzia reale di cui si dirà oltre (cap. 4.2). Così pure per la Liquidazione controllata, dove semmai sarebbe più opportuna l’applicazione analogica della disciplina sui contratti pendenti nella liquidazione giudiziale[41] (art. 177) in luogo di quella sui finanziamenti garantiti da cessione del quinto e da pegno. Meglio ancora, per quest’ultima procedura sarebbe opportuno che l’articolato prevedesse un rimando esplicito all’art. 177.

 

4.2       Contratti pendenti e finanziamenti nel Concordato

L’attuale L. 3/2012 non disciplina i contratti pendenti, ma in giurisprudenza si è ritenuto applicabile analogicamente l’art. 169-bis l. fall. ad un accordo di ristrutturazione[42].

Invece l’art. 79 c. 3 del Codice in materia di Concordato minore, nel rimandare esplicitamente alle norme del concordato preventivo in quanto compatibili, richiama anche l’art. 102, che consente lo scioglimento dei contratti ancora ineseguiti o solo parzialmente eseguiti (nelle sole prestazioni principali, a nulla rilevando quelle accessorie) da entrambe le parti. E ciò tanto nel Concordato minore in continuità quanto in quello liquidatorio.

L’ipotesi di più ricorrente applicazione riguarda i contratti di locazione finanziaria; contratti questi che, se non sciolti, generano rate successive all’apertura della procedura da pagare per l’intero. Viceversa, in caso di scioglimento, le rate a scadere costituiscono l’indennizzo a favore della controparte, ma sono da trattarsi come credito chirografario sottoposto a falcidia.

Data la formulazione della norma, i finanziamenti già completamente erogati da una parte e non ancora integralmente rimborsati dall’altra, siano essi chirografari oppure privilegiati, si considerano scaduti all’apertura della procedura[43]; ad essi, dunque, l’art. 102 non può applicarsi, trattandosi di contratti che una delle due parti – il mutuante – ha già completamento eseguito nella prestazione principale[44].

Nel Concordato in continuità dell’imprenditore minore o del professionista, l’immediata scadenza (che non significa immediata esigibilità) all’apertura della procedura  è vantaggiosa nel caso di finanziamenti chirografari mentre è svantaggiosa nel caso di finanziamenti assistiti da garanzia reale su beni non destinati alla vendita.

Infatti nel caso di finanziamento chirografario il debitore potrà falcidiare il debito residuo e prevedere tempi di rimborso sostenibili e compatibili col piano di risanamento (senza eccedere i cinque anni[45]), anziché corrispondere le rate prededucibili per l’intero a ciascuna scadenza contrattuale.

Invece nel caso di finanziamento con privilegio su beni non destinati alla liquidazione, l’esigibilità per l’intero del debito, in quanto privilegiato, in uno con l’impossibilità di prevedere moratorie oltre i due anni (cap. 4.4), può mettere a repentaglio la tenuta del piano di risanamento, in quanto flussi finanziari devono essere stornati dalla continuità, cioè dal pagamento di fornitori, dipendenti etc., per essere destinati al rimborso anticipato del mutuo.

Soccorre tuttavia una disposizione “nuova di zecca” introdotta nell’art. 105 c. 2 (richiamato dall’art. 79 c. 3), che consente di proseguire nei finanziamenti con garanzia reale se il debitore, alla data di presentazione della domanda di concordato, abbia adempiuto regolarmente i pagamenti previsti oppure se sia stato autorizzato dal tribunale al pagamento del capitale ed interessi scaduti, previa attestazione (verosimilmente dell’OCC) che tale pagamento sia essenziale per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionale ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

La disciplina dei contratti pendenti di cui all’art. 102 nel Concordato minore è destinata a restare confinata a questo istituto, atteso che nel Piano vi è la speciale regolamentazione sui finanziamenti garantiti da cessione del quinto e pegno, mentre nella Liquidazione controllata sarebbe più ragionevole applicare analogicamente la speciale disciplina dell’art. 177 prevista per la liquidazione giudiziale.

 

4.3       Cessione parziale dei beni

Nel vigore dell’attuale disciplina si sono pronunciate contro l’ammissibilità di un piano del consumatore in cui il debitore non ceda l’intero suo patrimonio ai creditori sia la dottrina[46] che, in linea di massima, la giurisprudenza[47] per violazione dell’art. 2740 c.c., fatto salvo l’apporto di risorse esterne.

La stessa conclusione deve valere per il nuovo Piano previsto dal Codice: l’art. 2740 secondo comma ammette deroghe al principio della illimitata responsabilità di cui al primo comma soltanto nei casi stabiliti dalla legge, e qui la legge nulla stabilisce.

A diverse conclusioni si giunge invece nel caso di Concordato minore.

Si consideri infatti che nel caso di Concordato minore liquidatorio – quindi con apporto necessario di risorse esterne ex art. 79 c. 2 – ben potrebbe la proposta prevedere che non vengano liquidati taluni beni cui il debitore sia, ad esempio, legato per motivi affettivi, purché esse (risorse esterne) aumentino comunque in misura apprezzabile il soddisfacimento dei creditori; in tal modo si potrebbe dire realizzato il fine di “pervenire al miglior soddisfacimento dei creditori salvaguardando i diritti del debitore” (art. 3).

Nel diverso caso di un Concordato minore in continuità, la proposta prevedrà necessariamente che non vengano posti in vendita i beni funzionali alla continuazione dell’attività, ma vi è motivo di ritenere che essa possa parimenti prevedere il permanere nella sfera giuridica del debitore anche di beni non funzionali. E ciò, sebbene la nuova disciplina del concordato in continuità non presenti più l’inciso, contenuto nell’attuale art. 186-bis l. fall., per cui “Il piano può (non: deve) prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”, poiché comunque a legittimare la cessione soltanto parziale del patrimonio non funzionale alla continuità è la dimostrazione del miglior soddisfacimento dei creditori ex art. 92, n. 7, come richiamato dall’art. 79 c. 3.

Pare di potersi escludere radicalmente, invece, che la Liquidazione controllata possa derogare all’art. 2740 c.c..

 

4.4       Moratoria dei crediti privilegiati

L’attuale art. 8 c. 4 l. sovr. prevede una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di pegno, privilegio ed ipoteca in caso di accordo di ristrutturazione con continuazione dell’attività di impresa e di piano del consumatore.

Nella nuova disciplina, invece, vi è una previsione esplicita in tal senso solo per il Concordato minore in continuità e non invece per il Piano, in forza del richiamo operato dall’art. 79 c. 3 all’art. 91, il quale consente, in caso di concordato in continuità aziendale, di prevedere nella proposta una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento dei crediti privilegiati.

La norma ha lo scopo di consentire al debitore di non impegnare immediatamente i flussi di cassa derivanti dalla continuità aziendale nel pagamento dei creditori che vantano privilegi su beni dei quali non sia prevista la liquidazione, ma di poterli reinvestire nella gestione per pagare i fornitori di beni e servizi e i lavoratori.

La disposizione echeggia quanto previsto dall’attuale art. 186-bis in materia di moratoria annuale nel concordato preventivo con continuità aziendale. Il Codice prevede però un termine raddoppiato, essendo risultato eccessivamente penalizzante il termine di un anno presente nell’attuale disciplina (così la relazione al Codice).

È possibile estendere la moratoria oltre il termine previsto dalla legge? Nel caso del concordato preventivo ex art. 186-bis l. fall., la Corte di Cassazione ha sistematicamente ammesso la possibilità di moratoria ultrannuale[48], ma non è dato sapere quale orientamento giurisprudenziale si svilupperà circa il termine biennale dell’art. 91, anche se la relazione al Codice pare lasciare pochi spiragli.

In ogni caso resta la facoltà per il debitore di stipulare accordi para o extra-concordatari col creditore, la cui validità è riconosciuta dalla giurisprudenza[49] e dalla dottrina[50], quand’anche finalizzati a moratorie di lunga durata.

Quanto al Piano del consumatore, l’ipotesi della moratoria ultrannuale nel vigore della L. 3/2012 è stata recentissimamente negata sulla base di un’asserita “coerenza con il regime vigente per il concordato preventivo”(!)[51].

Così pure ha negato la moratoria ultrannuale nel piano del consumatore la giurisprudenza di merito, con rare eccezioni[52], col risultato pratico di rendere inammissibile una procedura di composizione della crisi che consenta al debitore di proseguire i pagamenti rateali di debiti privilegiati secondo le ordinarie scadenze contrattuali; e ciò nonostante la circostanza che nella disciplina del sovraindebitamento non si applichi l’art. 55 l. fall. e quindi i debiti non si considerino scaduti all’apertura della procedura.

Ritengo tuttavia che il Codice abbia sovvertito i termini della questione.

Infatti, esso disciplina la moratoria biennale dei debiti privilegiati esclusivamente nel Concordato minore e non anche nel Piano; invece l‘attuale art. 8 c. 4 l. sovr. consente la moratoria anche nel piano del consumatore.

Pare dunque che nel Piano non vi sia più spazio per una moratoria di alcun genere o durata, sia essa infra oppure ultra-biennale, anche perché la circostanza che nel Piano non vi sono flussi di cassa al servizio della continuità da tutelare tramite il rinvio del pagamento dei debiti privilegiati osta all’applicazione analogica della disciplina del Concordato minore.

Inoltre, se si accoglie il principio generale che il pagamento del creditore privilegiato deve conseguire immediatamente alla disponibilità da parte del debitore della somma ricavata dalla liquidazione del bene sul quale grava il privilegio (così la relazione al Codice a commento dell’art. 91) e se nel Piano devono essere liquidati tutti i beni, non essendo consentita una cessione solo parziale (cap. 4.3), allora la moratoria non può mai essere invocata.

Attraverso l’apposita disciplina prevista dall’art. 72 c. 3, il debitore può tuttavia interrompere la debenza delle rate relative ai finanziamenti garantiti da pegno (oltre che da cessione del quinto); non altrettanto parrebbe possibile in caso di mutui ipotecari (si veda cap. 4.1 e la nota 39), e ciò può pregiudicare nel breve termine le risorse finanziarie per il mantenimento del debitore e dei suoi familiari.

Concludendo l’analisi comparativa sul tema, è da escludere che la disciplina della moratoria biennale sia di qualche utilità nella nuova Liquidazione controllata.

Tornando alla moratoria biennale nel Concordato minore in continuità, il Codice riconosce il diritto di voto per l’intero ammontare del credito ogniqualvolta la moratoria sia maggiore di un anno (artt. 91 e 114,. c. 5).

Il riconoscimento del diritto di voto per l’intero credito oggetto di moratoria è sproporzionato, a parere di chi scrive, rispetto al pregiudizio economico e finanziario patito in conseguenza della dilazione, e comporta una alterazione delle maggioranze a favore di chi, tutto sommato, ha poco da perdere da una dilazione che può essere da un minimo di uno a un massimo di due anni (salvo ipotesi di moratoria ultrabiennale, se consentita); costui potrebbe infatti essere adeguatamente compensato tramite il riconoscimento di interessi di mercato per la dilazione patita o, alternativamente, riconoscendogli in egual misura il diritto di voto.

Si tratta comunque di una scelta deliberata della commissione, derivante dall’ “assoggettamento del credito nel suo complesso, per effetto del concordato, ad un diverso regime giuridico rispetto a quello ordinario” (così la relazione al Codice).

 

 

5       Altre questioni procedurali

 

5.1       Competenze dell’OCC

È stata espunta dal Codice la facoltà di nomina da parte dell’autorità giudiziaria di un professionista facente le funzioni dell’OCC ex art. 15 c. 9 L. 3/2012; peraltro la giurisprudenza ha recentemente precisato la natura sussidiaria di tale nomina per provvedimento giudiziario, che viene meno dal momento della costituzione degli organismi del proprio circondario[53].

E così destinata ad essere superata la prassi, che non aveva trovato favorevole accoglimento in giurisprudenza, di approfittare del deposito di un’istanza di nomina di un professionista con funzioni di OCC per chiedere un termine per il deposito della proposta ai creditori durante il quale sospendere le azioni esecutive[54]; concessione di termine che invece dovrebbe essere consentita dal nuovo Codice tramite lo strumento della domanda in bianco (cap. 3.3).

Il Codice afferma ora testualmente l’inammissibilità di una proposta formulata senza l’ausilio dell’OCC[55] posto che nel Piano e Concordato è previsto che la domanda sia presentata tramite l’OCC (artt. 73 e 81), mentre nella Liquidazione essa può essere presentata personalmente dal debitore ma pur sempre con l’assistenza dell’OCC (art. 274). Anche l’art. 71, comune a tutte le procedure di sovraindebitamento, ribadisce che esse sono promosse e si svolgono a cura degli OCC.

Proprio il tenore letterale di queste disposizioni fa ritenere superata la controversa questione se il sovraindebitato, oltre a ricorre all’OCC, debba anche munirsi di un difensore[56]: poiché nel caso di Piano e Concordato la domanda deve essere presentata dall’organismo e nella liquidazione può essere presentata personalmente dal debitore, viene meno la necessità dell’assistenza di un legale di fiducia.

Il nuovo Codice non preclude al debitore la possibilità, già riconosciuta dall’attuale giurisprudenza[57], di avvalersi di un soggetto di propria fiducia per la redazione del piano, fermo restando che l’OCC dovrà farlo proprio verificandone sia la veridicità che la fattibilità.

Discutibile è, semmai, se a tale professionista competerà la prededuzione, oggi riconosciutagli dalla giurisprudenza[58], considerato che nella nuova disciplina (art. 9) essa non viene riconosciuta ai crediti professionali per prestazioni rese durante le procedure di allerta e composizione assistita della crisi d’impresa da soggetti diversi dall’organismo di composizione assistita della crisi[59], e ciò pare sintomatico del fatto che, per l’estensore della riforma, quando il creditore viene affidato alle cure di un organismo all’uopo istituito, l’ulteriore figura del professionista di fiducia è superflua o comunque non meritevole di tutela.

Il Codice non ripropone la norma di cui all’art. 15, n. 10 l. sovr. che conferisce agli organismi il potere di accedere a numerose banche dati (anagrafe tributaria, sistema di informazioni creditizie, centrale rischi etc.) per colmare le lacune informative del debitore[60]. Si prevede unicamente un “dialogo” immediato tra OCC registro imprese, agente della riscossione, uffici fiscali e INPS[61], e questo è un depotenziamento dell’OCC cui occorre senza dubbio porre rimedio in fase di stesura finale del testo di legge.

La L. 3/2012 prevede l’attestazione di fattibilità obbligatoria da parte dell’OCC sia nell’accordo e piano del consumatore (art. 9 c. 3 l. sovr.), sia anche nella liquidazione (art. 14-ter c. 2 l. sovr., sebbene non si comprenda a cosa serva in quest’ultimo caso). È inoltre prevista nell’accordo un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.

Nel nuovo regime invece l’attestazione di fattibilità è sempre facoltativa (art. 69 c. 2 ultimo periodo), al pari di quanto avviene nel nuovo concordato preventivo (art. 92 c. 2), ed è logico ritenere che la legge intenda attribuire al creditore la facoltà di produrre l’attestazione di un terzo diverso dall’OCC, considerato che sarebbe contraddittorio assegnare tale incombenza all’organismo cui già spetta, in ogni caso, il compito di fornire un quadro fedele della situazione e dell’attendibilità del programma sotteso alla soluzione della crisi.

Piano e Concordato minore continuano a prevedere le attestazioni speciali dell’OCC, non giurate, per la falcidia di creditori privilegiati a fronte dell’incapienza dei beni posti a garanzia (art. 72 c. 4 e 80 c. 3).

 

5.2       Realizzo e ripartizione dell’attivo

Le modalità di realizzo dell’attivo nel Piano e Concordato minore sono rimesse al debitore, che deve darne (auspicabilmente) indicazione nella domanda.

Tuttavia, nel solo caso del Piano, che è un procedimento avente una natura giurisdizionale e non contrattuale, il giudice, su suggerimento dell’OCC, può disporre direttamente che il Piano stesso sia modificato in sede di verifica dell’ammissibilità e fattibilità (art. 75 c. 6). Eventuali modifiche del Piano, ed in questo caso anche del Concordato minore, sono sempre possibili anche nella successiva fase esecutivare), qualora il programma originariamente previsto sia divenuto inattuabile (artt. 77 c. 2 e 86 c. 4).

Nel caso della Liquidazione controllata, invece, il realizzo dell’attivo è rimesso al liquidatore, che deve conformarsi al programma di liquidazione da lui stesso precedentemente predisposto; programma che continua a non essere oggetto, neppure nella nuova disciplina, di approvazione e impugnazione da parte dei creditori o del giudice delegato (art. 277 c. 2).

Nel Codice vengono anche meno le prescrizioni esplicite in merito alle modalità di realizzo dell’attivo nella Liquidazione controllata. Al contrario l’attuale art. 14-novies l. sovr. fissa alcuni cardini, disponendo che la liquidazione debba attuarsi tramite procedure competitive, con stima dei beni salvo quelli di modico valore e con facoltà del giudice di sospendere le vendite.

Mi pare che concedere ad un ausiliario del giudice il potere di operare senza vincoli non possa essere un risultato desiderato dal legislatore. Sarebbe dunque opportuno che nella stesura definitiva del testo di legge sulla disciplina della Liquidazione controllata si effettuasse un rimando agli artt. 221 e 222 del Codice, che regolano il realizzo dell’attivo nella liquidazione giudiziale delle imprese sopra soglia. Ciò consentirebbe anche di usufruire di alcune disposizioni utili per una proficua attività liquidatoria, come ad esempio l’obbligo di effettuazione della pubblicità attraverso il portale delle vendite pubbliche[62] e la possibilità di effettuare pagamenti rateali.

Sempre nella Liquidazione controllata, l’amministrazione dei beni spetta al liquidatore (art. 279), mentre nulla si dice in merito alla esperibilità di azioni risarcitorie[63], recuperatorie e revocatorie.

Diversamente, la disciplina vigente della liquidazione dei beni prevede all’art. 14-decies che il liquidatore possa quantomeno ­­esercitare l’azione recuperatoria volta alla restituzione o rivendica di beni ed al recupero di crediti nonché, ma le posizioni in dottrina non sono unanimi, l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c..

Sarebbe dunque opportuno integrare la nuova disciplina conferendo maggiori poteri al liquidatore, salvo trattarsi di una scelta deliberata della commissione volta ad assicurare la speditezza della procedura, seppure a spese del soddisfacimento dei creditori.

Quanto alla fase di ripartizione dell’attivo, occorre interrogarsi per quali delle diverse discipline debba essere rispettato il principio della par condicio creditorum.

Non si sottraggono alle ordinarie regole della graduazione dei crediti secondo il sistema dei privilegi il Concordato minore (art. 90 lett. e) e la Liquidazione giudiziale (art. 279 c. 4), e ciò dovrebbe portare anche al disconoscimento del privilegio processuale del titolare di credito fondiario ex art. 41 c. 2 TUB, in quanto limitato al fallimento[64].

Non pare invece che il Piano debba rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione[65]; manca infatti una previsione esplicita in tal senso, e l’interpretazione analogica è ostacolata per le ragioni già illustrate (nota 3). D’altronde in questa procedura il controllo del giudice è molto pervasivo: non soltanto egli verifica l’ammissibilità e la fattibilità del Piano, ma può anche disporre le modifiche necessarie (art. 75 c. 6), e ciò assicura il bilanciamento degli interessi dei diversi creditori.

Sebbene la nuova disciplina, come già quella attuale, continui a fare riferimento alla liquidazione dei “beni” (art. 273 c. 1), il debitore sovraindebitato può accedere alla Liquidazione controllata anche se non ne possieda alcuno, né mobile né immobile, purché possa contare su una forma di reddito da impiegare per il soddisfacimento parziale dei creditori[66].

 

 

5.3       Meritevolezza, falcidiabilità dei tributi, procedure collegate

Il Codice ripropone nel Piano la necessità di una relazione dell’OCC che contenga l’indicazione delle cause dell’indebitamento, della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere obbligazioni e delle ragioni che hanno comportato l’incapacità ad adempierle (art. 73). Informazioni, queste, già previste nell’attuale disciplina e dirette a consentire al giudice di valutare la meritevolezza del debitore, anche sotto il profilo dell’assenza di atti di frode.

Poiché la formulazione testuale è la medesima, non vi è motivo di disconoscere la oramai corposa giurisprudenza fin qui formatasi sulla meritevolezza; così, sintetizzando, è immeritevole il debitore che abbia accumulato ingiustificatamente prestiti o che si sia spogliato di beni prima dell’accesso alla procedura. Così pure gli atti in frode precludono l’accesso alla procedura non soltanto nel caso in cui il debitore li nasconda o comunque serbi un silenzio antidoveroso, ma anche quando ne dia notizia nella domanda[67].

Curiosamente la stessa relazione dell’OCC avente ad oggetto la meritevolezza è richiesta anche nel Concordato minore (mentre non lo è nell’attuale disciplina dell’accordo di ristrutturazione), ma essa appare unicamente preordinata a fornire ai creditori informazioni per esprimere consapevolmente il voto, e non anche per una eventuale declaratoria di inammissibilità della domanda, che può essere pronunciata solo per la mancanza dei requisiti previsti dall’art. 82.

Invece la nuova disciplina della Liquidazione controllata, a differenza di quella attuale, non prevede più l’inammissibilità della domanda di liquidazione quando la documentazione non consenta di ricostruire il quadro fedele della situazione del debitore oppure se constino atti di frode (art. 14-ter e 14-quinquies L. 3/2012).

Coerentemente, la relazione particolareggiata dell’OCC allegata al ricorso deve contenere soltanto una valutazione sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata e sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore (art. 274 c. 2). L’art. 14-ter l. sovr., invece, richiede all’OCC una relazione particolareggiata contenente l’indicazione di cause dell’indebitamento, della diligenza del debitore nell’indebitarsi, etc..

Di fatto la riforma cancella ogni ipotesi di non meritevolezza, prendendo atto che la Liquidazione controllata non è una misura premiale per il debitore, bensì uno strumento di tutela dei creditori. Tanto risulta anche dalla circostanza che vengono ammessi a presentare domanda di Liquidazione i creditori ed il PM, oltre al debitore (cap. 2.2).

Il Codice rimuove finalmente il divieto di falcidia dell’IVA e delle ritenute operate e non versate. Piano e Concordato minore potranno dunque prevedere che detti tributi possano essere pagati solo in parte, e non più meramente dilazionati, in caso di incapienza dei beni sui quali grava il privilegio, tramite l’apposita attestazione speciale dell’OCC prevista dagli artt. 72 c. 4 e 80 c. 3.

Inoltre, il Codice prevede all’art. 70 la trattazione e gestione unitaria delle procedure di sovraindebitamento che siano collegate in quanto riguardanti più membri della stessa famiglia, beni in cointestazione, garante e garantito o per altri motivi.

Si prevedono la nomina di unico giudice delegato e di un unico OCC e la determinazione di un unico attivo e passivo sui quali calcolare i compensi.

La norma precisa che le masse attive e passive devono rimanere distinte[68].

Nulla si dice invece, in caso di Concordato minore, circa le votazioni ed il calcolo delle maggioranze, ma vi è motivo di ritenere che anche esse debbano essere tenute distinte[69].

In questo ambito è rimarchevole, soprattutto nel caso di sovraindebitamento “di gruppo” o di nuclei familiari, la possibilità offerta dall’art. 84 c. 5 al proponente una domanda di Concordato di limitare la responsabilità dei coobbligati, fideiussori ed obbligati in via di regresso (cap. 6.4).

 

5.4       Miscellanee

La nuova disciplina abbassa la percentuale dei consensi richiesta per l’omologazione del Concordato minore (già accordo di ristrutturazione) da almeno il 60% ad oltre il 50% dei crediti.

Sia nel Piano che nel Concordato minore sono disposte sanzioni processuali a carico del creditore che eroghi “prestito irresponsabile”, cioè che abbia consapevolmente o colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che, se istituto di credito, non abbia adeguatamente verificato il merito creditizio. In particolare, egli non può presentare osservazioni al Piano né presentare opposizione o reclamo in sede di omologazione del Piano e del Concordato, anche se dissenziente; inoltre non può far valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore (artt. 74 c.2 e 85 c.4).

Anche in assenza di un emendamento dell’art. 31 DL 179/2012, che ora fa riferimento alla L. 3/2012, è logico ritenere che le startup innovative continueranno ad essere soggette esclusivamente alla nuova disciplina del sovraindebitamento nei cinque anni dalla costituzione, quand’anche superino le soglie di ricavi, attivo e indebitamento previste per l’accesso alle procedure maggiori. Ciò in considerazione del regime di particolare favore previsto per questo tipo sociale.

 

 

 

6       Esdebitazione

L’esdebitazione consente ad un soggetto indebitato di liberarsi dei propri debiti.

 

6.1       Esdebitazione nel Piano e Concordato minore

Il Codice non stabilisce esplicitamente che il Piano e il Concordato minore omologati sono obbligatori per tutti i creditori anteriori, cioè che determinano l’esdebitazione del debitore (come invece stabilito oggi nel piano del consumatore e accordo rispettivamente nell’art. 12 c. 3 e 12-ter c. 2 l. sovr.).

Non vi è tuttavia ragione di dubitare che si realizzi l’esdebitazione per così dire automatica in conseguenza dell’omologazione di Piano e Concordato, poiché diversamente ragionando verrebbe meno la natura transattiva dei due istituti e l’utilità di farvi ricorso. Ed una riprova a contrario che effetto esdebitatorio si ha, è data dall’art. 86 c. 5; questa disposizione stabilisce infatti che la risoluzione del Concordato minore esclude l’esdebitazione del sovraindebitato.

Tuttavia è consentito l’accesso a Piano e Concordato al soggetto solo quando non sia già stato esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda e non abbia beneficiato dell’esdebitazione per più di due volte (artt. 74 c. 1 e 82 c. 1). Viene in sostanza concessa ad un soggetto, sia essa persona fisica che società, non solo una second ma anche una third chance.

Nel Concordato minore l’esdebitazione si trasmette anche ai soci illimitatamente responsabili: è quanto consente l’art. 84 c. 4, secondo il quale “il concordato della società produce i suoi effetti anche per i soci illimitatamente responsabili”.

È quindi ribadita la stessa disciplina prevista per il concordato preventivo, ove i soci restano obbligati nei soli limiti della proposta della società, beneficiando dell’esdebitazione sul residuo.

La stessa formula è ripetuta nell’art. 69 c. 3, che disciplina anche il Piano, e si può ritenere che sia riferita non soltanto ai soci di società semplice non esercente attività d’impresa o professionale, ma anche agli associati di associazioni che abbiano a rispondere personalmente e illimitatamente delle obbligazioni assunte dall’associazione, avendo agito in loro nome e per loro conto (art. 38 c.c.).

Non è da escludere che entrambe le disposizioni valgano anche a scongiurare il rischio di dover gestire più procedure in conseguenza del sovraindebitamento della società o dell’associazione e ad estendere ai soci ed associati illimitatamente responsabili il blocco delle azioni esecutive[70].

 

6.2       Esdebitazione nella Liquidazione controllata

La disciplina dell’esdebitazione in caso di Liquidazione controllata è stata oggetto di profonda revisione.

L’art. 286 c.1 prevede che l’esdebitazione opera di diritto nel più breve fra i seguenti termini della Liquidazione:

  1. provvedimento di chiusura;
  2. tre anni dalla sua apertura.

Quanto al punto 1, la nuova disciplina prevede all’art. 277 c. 3 che la Liquidazione controllata non possa superare i due anni, prorogabili a tre per gravi e giustificati motivi. È quindi previsto che la sua chiusura intervenga in tempi assai rapidi, e così pure la conseguente esdebitazione.

L’attuale art. 14-quinquies L. 3/2012 invece prevede invece una durata minima della liquidazione dei beni di 4 anni, e soltanto dopo la chiusura della procedura è possibile chiedere l’esdebitazione.

Il termine quadriennale della vigente disciplina ha, secondo dottrina, lo scopo di consentire l’acquisizione di eventuali beni (e crediti) sopravvenuti. Infatti, art. 14-undecies L. 3/2012, prevede l’apprensione alla procedura delle attività sopravvenute nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione.

Nel Codice, al contrario, non si riscontra una previsione in tal senso. È una dimenticanza della commissione oppure è una scelta esplicita? Propendo per la seconda ipotesi, considerato che nella procedura di esdebitazione del debitore incapiente e meritevole, regolata dall’art. 287, si prevede esplicitamente la destinazione ai creditori delle utilità rilevanti sopravvenute nei quattro anni.

Espungendo la disciplina dei beni sopravvenuti dalla procedura di liquidazione, viene rimosso l’ostacolo al suo accorciamento da quattro a due, massimo tre anni, così agevolando il più rapido fresh start del sovraindebitato.

L’esdebitazione è dichiarata con decreto motivato del tribunale, che deve essere iscritto nel registro delle imprese (l’art. 286 c. 2); adempimento, quest’ultimo, che non può essere effettuato, e quindi non è dovuto, quando il soggetto esdebitato sia diverso da un’impresa.

Contro il provvedimento possono proporre reclamo il PM e i creditori.

Costituisce motivo di preclusione all’esdebitazione la condanna passata in giudicato per reati penali gravi (art. 284 lett. a richiamato dall’art. 286 c. 3)

In particolare il debitore non deve essere stato condannato con sentenza passata in giudicato per:

  1. bancarotta fraudolenta (art. 339 del Codice);
  2. delitti contro l’economia pubblica (artt. da 499 all’art. 512 c.p .);
  3. delitti contro l’industria e il commercio (artt. da 513 all’art. 517-quinquiesp.);
  4. altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa.

È fatto salvo il caso che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione.

Una disposizione di identico tenore è già contenuta nell’attuale disciplina, ma è opportuno soffermarsi su di essa per alcune precisazioni.

È ragionevole ritenere che nella categoria residuale al punto 4 rientrino i reati attinenti alla liquidazione giudiziale diversi dalla bancarotta fraudolenta, e cioè la bancarotta semplice (art. 340)[71], il ricorso abusivo al credito (art. 341) con la sua variante della truffa, quando si accompagni ad artifici e raggiri (ed il caso di gran lunga più frequente è l’emissione di fatture false per ottenere anticipazioni su crediti autoliquidanti), la denuncia di creditori inesistenti (art. 343) e la commissione di taluni reati societari previsti dal codice civile qualora ciò abbia cagionato il dissesto della società (art. 345 c. 2).

Ritengo altresì che rientrino in questa categoria residuale anche i (tanti) reati previsti nel D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità da reato delle società ed enti, quando tali reati siano stati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio, trattandosi senza dubbio di delitti “compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa”. L’elenco è numeroso: si va dalla truffa ai danni dello stato ai reati ambientali all’omicidio colposo per la violazione di norme antinfortunistiche.

Destinatari della sanzione penale della 231 sono unicamente le società (anche di persone) e gli enti, e non anche gli imprenditori individuali. Tuttavia dovrebbe essere escluso dal beneficio dell’esdebitazione anche quest’ultimo soggetto, qualora egli sia attinto da una condanna per i reati del “catalogo” 231, ogniqualvolta vi sia una oggettiva connessione tra la condotta illecita e l’attività imprenditoriale svolta.  

L’art. 284 lett. a. fa esclusivo riferimento a reati connessi con l’esercizio di impresa, e sarà necessario un certo sforzo interpretativo per adattare la prescrizione al debitore non imprenditore[72].

In caso di procedimento penale in corso il Tribunale sospende il procedimento di esdebitazione fino all’esito di quello penale. La sospensione può anche essere molto lunga, considerato che la prescrizione in caso di bancarotta fraudolenta è di 15 anni, e ciò ritarda significativamente la reimmissione del debitore innocente nella vita economica.

Il sovraindebitato gode di una sorta di corsia preferenziale nella liberazione dai debiti, poiché, a differenza di quanto previsto nella liquidazione giudiziale e nell’attuale disciplina della L. 3/2012, non sono considerate ostative le condotte elencate nell’art. 284 lett. da b. ad e., e cioè:

  • la commissione di atti in frode ai creditori (lett. b);
  • la mancata cooperazione con la procedura (lett. c);
  • l’essersi esdebitato nei cinque anni precedenti o l’aver già beneficiato due volte dell’esdebitazione (lette. d ed e), salvo il debitore sia consumatore, nel qual caso la circostanza assume rilievo (art. 286 c. 3).

Con riferimento a quest’ultimo punto, intrecciando le diverse disposizioni sui sovraindebitati “seriali”, se ne deduce quanto segue[73]:

  • un consumatore può porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non più di due volte nella sua esistenza e ad una distanza di tempo di non meno di cinque anni l’una dall’altra, indipendentemente dallo strumento prescelto (Piano o Liquidazione controllata);
  • un soggetto diverso dal consumatore può sovraindebitarsi quante volte lo voglia; egli potrà utilizzare lo strumento del Concordato minore non più di due volte e ad una distanza di tempo di non meno di cinque anni, ma potrà ulteriormente accedere più volte alla Liquidazione controllata e, ricorrendo il presupposto di assenza di condanne penali, alle conseguenti esdebitazioni.

Il Codice pare qui condonare all’imprenditore minore ed al professionista molteplici errori di gestione (ben oltre la terza opportunità, anche se probabilmente si tratta di un caso di scuola), recependo una corrente di pensiero di matrice statunitense che mostra tolleranza per i “fallimenti”, considerati un processo di sperimentazione che assicura, prima o poi, il successo di un’idea imprenditoriale; corrente di pensiero sintetizzata nell’aforisma (o iperbole?): fail fast, fail cheap, fail often[74].

Mentre nella disciplina vigente soltanto le persone fisiche possono beneficiare dell’esdebitazione (art. 14-terdecies l. sovr.), il Codice rende accessibile l’istituto anche alle società, come di consueto con effetto verso i soci illimitatamente responsabili, e non invece verso i coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso (art. 282 c. 5 e 6).

In tal caso la preclusione derivante da una condanna penale grave va riferita ai soci illimitatamente responsabili ed ai legali rappresentanti con riguardo ai tre anni precedenti la domanda di liquidazione (art. 282 c. 4).

L’esdebitazione delle società può essere utile quando vi sia l’interesse al suo ritorno in bonis, ad esempio per la presenza di attestazioni SOA; fermo restando che quando la chiusura della procedura intervenga per la distribuzione dell’attivo o per l’impossibilità di soddisfare i creditori, la società dovrebbe essere cancellata dal registro delle imprese (art. 238, richiamato dall’art. 280 c. 3 in quanto compatibile)[75]. A cancellazione avvenuta, colui che intenda avviare un’attività o proseguirne una esistente in forma societaria, non dovrà fare altro che costituire una nuova società.

Il Codice non richiede più il pagamento parziale (cioè: non minimale[76]) dei creditori, come invece previsto nell’attuale disciplina (art. 14-terdecies lett. f, l. sovr.). Ne consegue che, se ad accedere alla procedura di Liquidazione controllata sia una società, non si porrà più il dubbio dei soggetti – solo la società oppure anche i soci? – rispetto ai quali debba essere accertato il pagamento parziale[77].  

Nell’emettere il decreto motivato di esdebitazione, al tribunale non è più richiesto di sentire preliminarmente i creditori non integralmente soddisfatti, né deve chiedere il parere all’OCC o al liquidatore, e alla luce di quanto precedentemente illustrato se ne comprende il motivo: ai fini dell’istruttoria saranno sufficienti i seguenti documenti:

  • certificato dei carichi pendenti (per la verifica dell’esistenza di procedimenti penali in corso);
  • certificato generale del casellario giudiziale (per la verifica di eventuali condanne);
  • estratto del registro delle procedure d’insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi[78], quando verrà istituito (per verificare se, trattandosi di consumatore, abbia già usufruito di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti oppure due volte).

 

6.3       Esdebitazione del debitore incapiente

L’art. 287 prevede che il debitore possa essere esdebitato anche quando non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura, tenuto conto di quanto necessario per il mantenimento della sua famiglia.

Il beneficio può essere concesso solo per una volta; tuttavia permane l’obbligo di pagamento dei debiti ove, entro il quadriennio dall’esdebitazione, sopravvengano rilevanti utilità tali da consentire il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento. Non sono considerate utilità i finanziamenti, atteso che essi devono essere restituiti.

Ovviamente in questa procedura assume rilievo la meritevolezza del debitore.

A tale proposito l’OCC, nel trasmettere al giudice la domanda e la documentazione richiesta per legge, espone gli elementi idonei a valutare la meritevolezza del debitore sotto il profilo delle cause dell’indebitamento, della diligenza impiegata nell’assumere obbligazioni e delle ragioni che hanno comportato l’incapacità ad adempierle.

L’esdebitazione è riconosciuta con un decreto del giudice, il quale valuta la sussistenza della meritevolezza e l’insussistenza di atti di frode, ovvero di dolo o colpa grave nell’indebitamento. È previsto un apposito procedimento di opposizione dei creditori.

 

6.4       Terzi garanti

Nell’attuale regime l’esdebitazione del debitore non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti di coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso (artt. 11 c. 3 e 12-ter c. 3 l. sovr.).

Quindi i creditori possono esigere il pagamento nei confronti dei garanti per l’intero, in deroga al principio civilistico per cui la remissione nei confronti del debitore libera anche il fideiussore (art. 1239 c.c.) e il coobbligato in solido (art. 1301 c.c.).

Scopo della norma è tutelare i diritti dei terzi che hanno fatto affidamento anche sul patrimonio altrui, e che verosimilmente non avrebbero concesso credito in assenza di garanzie collaterali.

Costituisce un’eccezione a questa regola la fideiussione concessa dal socio di società di persone, poiché in questo caso egli non è considerato terzo, in quanto prevale il rapporto societario esistente. Dunque, il fideiussore-socio potrà beneficiare dell’esdebitazione anche quale mero fideiussore[79].

Venendo alla nuova disciplina, il Codice omette di menzionare l’integrale responsabilità dei garanti nel Piano, e ciò richiederebbe un intervento di modifica dell’articolato.

Viceversa, come anticipato nel cap. 2.1, nel caso del Concordato minore la disciplina è riproposta, ma con l’aggiunta dell’inciso “salvo che sia diversamente previsto” (art. 84 c. 5), e la relazione interviene a chiarire che deve essere diversamente previsto nella proposta del debitore.

Si attribuisce così al debitore imprenditore o professionista l’arbitrio di intervenire nel rapporto di garanzia esistente fra creditore e terzo garante, consentendo a quest’ultimo di sfilarsi dalla propria obbligazione di garanzia, almeno per la parte falcidiata.

In tal modo i coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso vengono trattati alla stessa stregua dei soci illimitatamente responsabili, che beneficiano dell’esdebitazione “in estensione”.

Tale soluzione è particolarmente lodevole in caso di sovraindebitamento familiare, quando un componente del nucleo è coobbligato del debitore principale (imprenditore minore o professionista), in virtù di garanzie personali prestate ai creditori. Estesa anche ai casi di sovraindebitamento diversi da quelli familiari, tuttavia, la norma rischia di rendere più diffidenti le banche e più difficoltoso l’ottenimento di garanzie bancarie, atteso il rischio del venir meno delle garanzie collaterali.

La nuova disciplina del concordato preventivo, cui quella del Concordato minore rimanda, prevede l’ipotesi di classamento obbligatorio dei creditori titolari di garanzie prestate da terzi (cfr. art. 90 lett. d.); si sarebbe portati a ritenere che, a maggiore ragione, dovrebbe essere prevista una classe specifica a favore di tali creditori quando questi siano danneggiati da una proposta che, avvalendosi della facoltà consentita dall’art. 84 c. 5,  li privi della garanzia.

Tuttavia, l’art. 80 c. 1 precisa che la formazione delle classi è sempre facoltativa; quindi non vi è obbligo di classamento nel Concordato minore, e ciò agevola senza dubbio il raggiungimento delle maggioranze richieste per l’omologazione della proposta, consentendo di affogare in una macro-classe il voto, quello del creditore privato della propria garanzia, quasi certamente negativo.

Infine, anche nella Liquidazione controllata è ribadita l’integrale responsabilità dei garanti, cui non si estendono gli effetti dell’esdebitazione (art. 282 c. 6).

 

NOTE IN CALCE

[1]    Dottore commercialista in Modena, g.cecchini@studioluce.biz.

[2]    Disciplina, quella attuale, che non ha avuto pieno successo, ove si consideri che, secondo statistiche del Tribunale di Milano, nel periodo 2012-2016, a fronte di 70.000 espropriazioni immobiliari, mobiliari e presso terzi, sono state introdotte meno di 400 istanze per l’accesso a procedure di sovraindebitamento, pari allo 0,5% delle azioni esecutive. Così S. Rossetti, Gli orientamenti della sezione fallimentare del tribunale di Milano sul sovraindebitamento, 2018, in Ilfallimentarista.it.

[3]    Ricorso all’analogia che, secondo V. Zanichelli, Requisiti soggettivi e oggettivi del piano del consumatore, in ilfallimentarista.it, 2016, deve essere effettuato con prudenza, considerato che esso è possibile solo in presenza di vuoti normativi, mentre la procedura di sovraindebitamento presenta un corpo normativo autonomo ed ha peculiarità proprie. Una conseguenza dell’assunto è che il rispetto della par condicio creditorum non è richiesto nel Piano (cfr. cap. 5.2).

[4]    Così il Trib. Milano, 18 agosto 2016, per il quale “sembra incongruente procedere ad una sistemazione della situazione debitoria senza considerare tutti i debiti sociali oltre a quelli della socia …. Va altresì considerato che in qualunque momento la società potrebbe fallire trascinando il socio nel fallimento”. Constano però posizioni divergenti le quali ammettono l’accesso del socio a dette procedure, ad esempio Trib. Prato, 16 novembre 2016 e Trib. Rimini, 13 marzo 2018. Sul punto si veda F. Pasquariello, L’accesso del socio alle procedure di sovraindebitamento: una grave lacuna normativa, in il Fallimento, 2/2017.

[5]    Auspicava una scelta della commissione nel senso dell’assorbimento della liquidazione giudiziale all’interno della procedura di sovraindebitamento R. Brogi, La propagazione dell’insolvenza in estensione e l’art. 147 L.F., in osservatorio-oci.org, 2017, pur riconoscendo la legittimità, in base alla L. 155/2017, di una diversa soluzione in fase di stesura dell’articolato.

[6]    Trib. Pistoia, 19 novembre 2014. In caso di Concordato minore i creditori sociali dovrebbero trovare collocazione in una classe di creditori estranei, irrilevante ai fini del calcolo delle maggioranze e senza diritto di voto.

[7]    Da falcidiare verosimilmente nella stessa misura degli altri debiti chirografari, come avviene nel concordato preventivo; così Trib. Modena, 28 marzo 2012.

[8]    G. Limitone, La nuova procedura di liquidazione giudiziale del sovraindebitato, in ilfalli-mentarista.it, 2018

[9]    Il passaggio è tratto dalla relazione al Codice nel commento all’art. 2, perché la formula adottata dal Codice all’art. 2, n. 5 è piuttosto criptica (è “consumatore: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente già svolta”).

[10]   Cass. 1° febbraio 2016, n. 1869.

[11]   Per la rilevanza di questi parametri con la disciplina vigente si veda da ultimo Trib. Palermo, 11 luglio 2017, in conformità alla sentenza della Corte di giustizia, causa C-74/15.

[12]   Tanto si presume per analogia con quanto previsto nel caso di concordato preventivo liquidatorio (art. 89 c. 4) e concordato liquidatorio giudiziale (art. 245).

[13]   Cass. 4 giugno 2012 n. 8930.

[14]   Ex artt. 75, 83 e 275. Nel vigore dell’attuale disciplina, l’inammissibilità è addirittura rilevabile in sede di nomina dell’OCC da parte dell’autorità giudiziaria; così Trib. Milano, 21 aprile 2016, citata da S. Rossetti, Gli orientamenti della sezione fallimentare del tribunale di Milano sul sovraindebitamento, 2018, in Ilfallimentarista.it.

[15]   E la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che essa può avvalersi anche dello strumento della liquidazione del patrimonio, direttamente o per conversione di un precedente accordo; Trib. Ravenna, 15 febbraio 2016 e Trib. Lucca, 14 novembre 2016.

[16]   Trib. Cremona, 17 aprile 2014.

[17]   Si dà il caso di un accordo di ristrutturazione proposto da un ente pubblico omologato dal Trib. Treviso il 10 ottobre 2015 con provvedimento riformato dal medesimo tribunale il 12 maggio 2016.

[18]   In tal senso con l’attuale disciplina si veda Cass. 7 febbraio 2017, n. 3196 e art. 14, D.Lgs 175/2016.

[19]   E, secondo Trib. Treviso, 22 giugno 2017, la domanda del debitore è irretrattabile, avendo carattere concorsuale e pubblicistico.

[20]   Attualmente è prevista la conversione d’ufficio di piano del consumatore e accordo in liquidazione dei beni; cfr. art. 14-quater con riferimento agli artt. 11 c. 5, 14-bis c. 1, oltre a 14-bis c. 2 lett. b. nei casi determinati da cause imputabili al debitore.

[21]   La valutazione di convenienza è richiesta dall’art. 81 lett. d. solo per il Concordato minore, mentre non esiste una disposizione simile riguardo al Piano. In entrambe le discipline è invece prevista la valutazione di convenienza da parte del giudice in caso di contestazione dei creditori (artt. 75 c. 7 e 85 c. 3).

[22]   Cfr. art. 545 c.p.c..

[23]   La proposta di direttiva diffusa il 22 novembre 2016 dalla Commissione dell’UE sull’armonizzazione delle procedure di insolvenza prevede che i diritti non pagati dei lavoratori “dovrebbero, in linea di principio, essere esclusi dalla sospensione delle azioni di esecuzione … una sospensione per tali diritti dovrebbe essere possibile solo per gli importi e i periodi in relazione ai quali gli Stati membri garantiscono il pagamento di tali diritti con altri mezzi.”.

Nel caso dell’Italia esiste a tale scopo il fondo di garanzia dell’INPS, istituito con la L. 297/1982, che garantisce il pagamento del TFR in sostituzione del datore di lavoro insolvente e, con il D.Lgs 80/92, anche le retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi del rapporto.

[24]   Trib. Livorno, 26 giugno 2017.

[25]   Basterebbe una modifica del tenore letterale dell’art. 69 c. 4.

[26]   G. Limitone, La nuova procedura di liquidazione giudiziale del sovraindebitato, in ilfallimentarista.it, 2018.

[27]   Testualmente, però, il divieto opera soltanto per i “creditori con causa o titolo posteriore al momento dell’esecuzione della pubblicità di cui all’articolo 275, c. 2 lettera f)”, cioè alla pubblicità sul sito web del tribunale e, occorrendo, sul registro delle imprese. Sarebbe bene modificare il Codice facendo retroagire il divieto alla proposizione della domanda.

[28]   Art. 50 c. 3, richiamato dall’art. 69 c. 2, per Piano e Concordato e art. 281 c. 2 per la Liquidazione, nonché art. 9 lett. e per tutte le procedure.

[29]   Favorevole a domanda in bianco e inefficacia delle ipoteche nei termini qui descritti è F. Michelotti, in osservatorio-oci.org, area riservata.

[30]   Cass, 14 aprile 2010, n. 8961.

[31]   Trib. Monza, 26 luglio 2017.

[32]   Trib. Pistoia, 23 dicembre 2013, Trib. Grosseto, 9 maggio 2017 nonché numerose altre.

[33]   Conferma la natura chirografaria del debito garantito da cessione del quinto Trib. Ancona, 15 marzo 2018.

[34]   A. Farolfi, Sovraindebitamento: le novità della riforma, in ilfallimentarista.it, 2017.

[35]   Trib. Ancona, 15 marzo 2018.

[36]   Propende per la non applicabilità dell’art. 55 l. fall. al piano del consumatore ex L. 3/2012 il Trib. Milano, 18 ottobre 2017.

[37]   In sequenza, l’art. 79 c. 3 richiama l’art. 101 c.1 che a sua volta richiama l’art. 159 c. 2. 

[38]   Senza scomodare l’applicazione analogica dell’art. 159 c. 2 che dispone l’immediata scadenza dei debiti pecuniari nella Liquidazione giudiziale, si può osservare che nella Liquidazione controllata la distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione deve avvenire secondo l’ordine di prelazione risultante dallo stato passivo (art. 279 c. 4), e ciò sarebbe incompatibile con la prosecuzione di pagamenti rateali.

[39]   Se il debitore cessasse di pagare le rate del mutuo ipotecario (verosimilmente prededucibili ex art. 9 lett. e), il suo patrimonio resterebbe esposto al rischio di azioni esecutive, non constando una disposizione che ne sancisca il divieto per i crediti post-domanda, come invece avviene nella Liquidazione controllata (art. 281 c.2).

[40]   Trib. Bergamo, 19 luglio 2017.

[41]   Già con la disciplina attuale della L. 3/2012 ritiene che alla liquidazione dei beni possano applicarsi per analogia le norme degli artt. 72 e seguenti l. fall. F. Cesare, Sovraindebitamento: liquidazione del patrimonio, in ilfallimentarista.it, 2017.

[42]   Trib. Pistoia, 23 febbraio 2015.

[43]   E ciò per la sequenza normativa già illustrata nella nota 37.

[44]   Peraltro vi è chi sostiene che lo scioglimento automatico dei contratti di finanziamento si determini già con l’attuale art. 169-bis l. fall. (così Trib. Milano, 9 marzo 2017), essendo l’articolo rubricato con la formula “Contratti pendenti” a seguito delle modifiche apportate dal DL 83/15, anche se nel testo della norma non si fa esplicito riferimento a contratti ineseguiti da entrambe le parti (mentre però vi si fa riferimento nella relazione illustrativa).  E fautori della stessa interpretazione vi erano anche in precedenza, quando l’articolo era rubricato semplicemente “Contratti in corso di esecuzione”; tra questi F. Lamanna, che ebbe a tacciare la opposta tesi di essere “insostenibile ed eversiva”: si veda il suo articolo Speciale Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: concordato preventivo – Finanziamenti e contratti pendenti, in ilfallimentarista.it, 2015,.

[45]   Così per l’odierno piano del consumatore si esprime Trib. Rovigo, 13 dicembre 2016 (anche se Trib. Bologna, 7 febbraio 2017 ammette un accordo di ristrutturazione della durata di dieci anni). Tuttavia mi pare che il termine quinquennale si attagli al caso di Concordato minore in continuità, mentre Piano e il Concordato minore liquidatorio non dovrebbero eccedere la durata di tre anni, per le ragioni illustrate in tema di concordato preventivo da Trib. Modena, 13 giugno 2013.

[46]   M. Vitiello, Il piano del consumatore: natura del procedimento e conseguenze del suo inquadramento sistematico, in ilfallimentarista.it, 2017.

[47]   Trib. Novara, 25 luglio 2017; Trib. Treviso, 21 dicembre 2016. In senso difforme Trib. Verona, 20 luglio 2016 per il quale è omologabile un piano che consenta di mantenere la proprietà dei beni essenziali come la casa di abitazione.

[48]   Da ultimo Cass. 2 settembre 2015, n. 17461.

[49]   Trib. Prato, 19 luglio 2017.

[50]   L’argomento è approfondito nel concordato preventivo da S. Ambrosini, Concordato preventivo e autonomia privata: i cc.dd. patti paraconcordatari, in ilcaso.it, 2016 e F. Lamanna, La scadenza immediata delle obbligazioni e l’obbligo inderogabile di pagare gli interessi sui crediti privilegiati, in ilfallimentarista.it, 2013

[51]   Sentenza contraddittoria, quella della Cass, 23 febbraio 2018 n. 4451: sin dall’introduzione nel 2011 dell’art. 186-bis la Cassazione ha sempre ritenuto ammissibile la moratoria ultrannuale nel concordato preventivo; vedasi nota 48.

[52]   Come nel caso trattato Trib. Milano, 18 ottobre 2017, ove è stata concessa la moratoria ultrannuale sulla base dell’impegno del debitore a pagare integralmente il mutuo e della circostanza che egli ne aveva sempre onorato regolarmente le rate.

[53]   Cass. 8 giugno 2017, n. 19740. Di conseguenza, secondo Trib. Treviso, 12 ottobre 2017, deve essere rigettata l’istanza per la nomina di un professionista-attestatore.

[54]   Per alcuni provvedimenti inediti sulla questione si veda S. Rossetti, Gli orientamenti della sezione fallimentare del tribunale di Milano sul sovraindebitamento, 2018, in Ilfallimentarista.it. Viene ribadito che i casi di divieto delle azioni esecutive previsti dalla L. 3/2012 sono quelli tassativamente indicati nell’art. 10 c. 2 lett. c e 12 c. 3 per l’accordo, 12-bis c.2 e 12-ter, c. 1 e 2 per il piano del consumatore e 14-quinquies c. 2 per la liquidazione.

[55]   Ipotesi preclusa già con la L. 3/2012; così Trib. Pordenone, 15 luglio 2014, inedita, citata in R. Battaglia, La crisi da sovraindebitamento nella giurisprudenza. lo stato dell’arte, in Il fallimento, 2/2018.

[56]   A favore Trib. Massa, 26 gennaio 2016. Contro, se nell’OCC che presenta la domanda vi sia anche un legale, Trib. Vicenza, 29 aprile 2014.

[57]   Trib. Vicenza, 29 aprile 2014; Trib. Prato, 23 febbraio 2015.

[58]   Trib. Napoli, 16 novembre 2017.

[59]   Che può essere l’OCC (infatti le procedure di allerta e composizione assistita della crisi si applicano anche alle imprese minori; cfr. art. 15) oppure l’organismo di composizione della crisi d’impresa (“OCRI”); quest’ultimo è l’organismo deputato a gestire la fase dell’allerta e della composizione assistita della crisi per le imprese non minori. Esso trova autonoma regolamentazione all’interno del Codice, mentre l’OCC continua ad essere disciplinato dal DM 202/2014.

[60]   Lo rileva G. Limitone, La nuova procedura giudiziale di liquidazione del sovraindebitato, in ilfallimentarista.it, 2018.

[61]   Artt. 75 c. 4, 81 c. 4 e 274 c. 3 del Codice e art. 28 Disp. Att. Codice Crisi e Insolvenza.

[62]   Manifesta l’opportunità che la pubblicità sia effettuata attraverso tale strumento anche con l’odierna disciplina Trib. Mantova, 16 febbraio 2018.

[63]   Ovviamente mi riferisco ad azioni risarcitorie indirizzate verso terzi, ad esempio organi sociali di società o associazioni; non certo verso il debitore, che subisce già, nella Liquidazione controllata, lo spossessamento limitato; cfr. art. 273 c. 3.

[64]   Così, per la liquidazione dei beni, Trib. Modena, 1° giugno 2017.

[65]   In tal senso, con riferimento alla disciplina del piano del consumatore, Trib. Ascoli, 4 aprile 2014.

[66]   Trib. Milano, 16 novembre 2017.

[67]   A conclusioni opposte è invece giunta buona parte della giurisprudenza in caso di revoca del concordato preventivo ex art. 173 l. fall.; Trib. Milano, 12 gennaio 2017, citata da S. Rossetti, Gli orientamenti della sezione fallimentare del tribunale di Milano sul sovraindebitamento, 2018, in Ilfallimentarista.it.

[68]   Meritano di essere segnalate Trib. Novara, 25 luglio 2017 che non ha accolto un piano del consumatore relativo ad un nucleo familiare in mancanza di idonea divisione delle masse patrimoniali attive e passive e Trib. Mantova, 8 aprile 2018, che ritiene ammissibile un’unica procedura di liquidazione di due coniugi il cui squilibrio finanziario derivi da mutuo fondiario garantito da beni in contitolarità. In quest’ultimo pronunciamento nulla si dice circa la separazione o meno delle masse attive e passive.

[69]   Conferma la necessità di tenere separate non soltanto le masse attive e passive ma anche votazioni e calcolo delle maggioranze nel caso di concordato preventivo “di gruppo” Cass., 13 ottobre 2015, n. 20559.

[70]   Anche considerato, nel caso di snc e sas, che il beneficio della preventiva escussione di cui agli artt. 2304 e 2318 c.c.  è di dubbia applicazione in pendenza di procedura.

[71]   Consta però una decisione del Tib. Udine, 25 giugno 2012, per il quale una condanna per bancarotta semplice documentale non impedisce la concessione del beneficio della liberazione dai debiti residui, sulla base della considerazione che quest’ultimo reato non sarebbe espressamente previsto come causa ostativa dall’art. 142 primo c. l. fall. (che ricalca l’art. 284 del Codice), e che  la norma non potrebbe essere interpretata estensivamente.

[72]   Può soccorrere l’analogia con l’attuale regime della L. 3/2012, non riproposto nel codice, ove l’esdebitazione è preclusa in caso di passaggio in giudicato di condanne penali per le seguenti condotte, previste dall’art. 16 l. sovr.:

  • avere prodotto documentazione falsa oppure avere distrutto o occultato documentazione relativa alla propria posizione debitoria;
  • avere omesso l’indicazione di beni nell’inventario allegato alla domanda di liquidazione.

[73]   Art. 74 c. 1 per il Piano, art. 82 c. 1 per il Concordato minore e artt. 284 lett. d ed e nonché art. 286 c. 3 per la Liquidazione controllata.

[74]   Il principio è riesposto, seppure in termini meno sovversivi, nella proposta di direttiva diffusa il 22 novembre 2016 dalla Commissione dell’UE sull’armonizzazione delle procedure di insolvenza, ove si sollecita l’adozione di misure che incoraggino i cittadini europei a intraprendere nuove attività, quand’anche essi abbiano già sperimentato un fallimento, avendo constatato che:

  • secondo un sondaggio condotto da Eurobarometro il 43% dei cittadini europei non avvia un’attività per timore di fallire;
  • è dimostrato che tempi di liberazione dai debiti più brevi hanno un impatto positivo sia sui consumatori sia sugli investitori;
  • è dimostrato che gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di riuscire la seconda volta.

[75]   L’art. 238 (già art. 118 l. fall.) contempla altre due ipotesi di chiusura della liquidazione che però non determinano la cancellazione della società bensì la riportano in bonis: quando nessun creditore si sia insinuato tempestivamente oppure quando tutti i creditori concorsuali siano stati soddisfatti.

[76]   Cass., 18 novembre 2011, n. 24214.

[77]   Con riferimento alle società fallibili, la questione è attualmente controversa. Accanto a tribunali che hanno riguardo alla percentuale di soddisfacimento realizzata dalla società di persone (ad esempio Modena) altri tribunali esprimono posizioni più articolate.

Così ad esempio In un caso trattato dal Trib. Udine, 13 gennaio 2012, erano stati parzialmente pagati i creditori privilegiati della società e di uno dei soci, mentre erano rimasti insoddisfatti i creditori particolari dell’altro, e tuttavia, l’esdebitazione era stata concessa a entrambi i soci falliti personalmente, argomentando che “anche quest’ultimo, in virtù del pagamento effettuato con i beni della società e dell’altro socio, ha comunque parzialmente pagato i creditori sociali”.

In un altro caso trattato dal Trib. Mantova, 12 luglio 2012 nessun pagamento dei creditori della società aveva avuto luogo, mentre era stato pagato nella misura del 30% il creditore particolare del socio, titolare di diritto di ipoteca. In questo caso il giudice ha ritenuto non adeguato il pagamento parziale effettuato ed ha rigettato la richiesta esdebitazione.

[78]   Previsto dall’art. 3 del DL 59/2016 (conv. L. 119/2016).

[79]   Cass. Civ. S.U., 16 febbraio 2015, n. 3022. Il principio è stato espresso in materia di concordato preventivo, ma nulla impedisce di estenderne l’applicazione alle procedure di sovraindebitamento.